La regola numero uno quando si viaggia in compagnia dei Tuareg è imparare a interpretare le parole dei Tuareg... Se l’abbigliamento di un popolo ne riflette la cultura, il fatto che i tuareg usino coprirsi il volto per celare i sentimenti lascia intendere quanto siano schivi e quanto difficilmente si esporranno rispondendo ad una domanda con un “si” o “no” secco. Sarà piuttosto un “forse”, o un “può darsi”, o “Inshallah”, nel rispetto anche della loro natura di grandi mercanti e padroni assoluti del deserto fin dalla notte dei tempi. Ricevetti più o meno una risposta del genere quando, in previsione della risalita di una duna alta oltre 130m, chiesi se fosse stato il caso di portarmi dietro l'attrezzatura fotografica, cosa che infine feci. Un’esperienza indelebile e sicuramente non adatta a chi soffre di vertigini: salire lungo la cresta della duna mi ha fatto sentire come il funambolo, mentre si sposta su un filo fissato alle estremità di 2 grattaceli. In sostanza, quando scattai questa foto, pensai seriamente di tirare le cuoia... Ero in ginocchio, senza fiato, con scarsa lucidità mentale, il cuore che mi batteva in gola e una forte sensazione di nausea. Mi ero allenato molto per questo cammino a piedi nel deserto, ma non potevo immaginare quanto immane fosse lo sforzo di risalire una duna, sotto il caldo cocente di un pomeriggio Sahariano e con 18kg di attrezzatura fotografica sulle spalle che mi facevano affondare al ginocchio passo dopo passo. Caddi stremato sulla sabbia e alzando la testa vidi la mia guida lì in cima davanti a me. D'istinto presi la macchina, regolai alla meno peggio e scattai con le poche forze che mi restavano. Ammetto di essermi accorto del risultato soltanto a sera inoltrata, al bivacco intorno al fuoco, dopo essermi completamente ripreso. Ciò che è certo, è che quella visione mi diede la forza di rimettermi in piedi: “no porco cane !”- dissi - “non posso morire a metà di una duna in mezzo al deserto, se proprio deve andare così, voglio che sia almeno là in cima, dov’è lui”, quasi come quella sagoma fosse una visione divina. Mi rimisi in piedi e lentamente vi arrivai anch'io. Dovetti essere talmente impacciato, scoordinato, da riempire l’obiettivo di sabbia bloccando completamente la ghiera di messa a fuoco. Sarò costretto ad usarlo in automatico per il resto del viaggio e fino a pulizia in un centro Nikon (sigh!).
Non potevo andar via senza immortalare la vista che si dominava dall'alto, nel punto in cui il terreno roccioso del Tassili N'Ajjer si trasforma morbidamente in sabbia fine e dove iniziano le dune, rappresentazione del Sahara nel nostro immaginario collettivo. Nonostante il danno all’obiettivo e le conseguenze fisiche (una brutta infiammazione al ginocchio che mi porterò dietro per mesi), credo fermamente sia valsa la pena di vivere quest'esperienza, e mi ritengo onorato di aver potuto percorrere una delle "vie del deserto" in compagnia di uno dei popoli più affascinanti della Terra: i Tuareg.
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